mercoledì 24 agosto 2011

L'appello

Se negli ultimi tre o quattro anni non avete preso i mezzi pubblici, bè avete fatto bene, e vi odio e vi invidio, ma sappiate che vi siete persi una grande novità: su autobus e metropolitana è sbarcata la televisione. Generalmente la programmazione è riassumibile nella coraggiosa linea editoriale: “Bambini che cadono e gattini che sbattono”, residuati bellici di una ironia commerciale anni ‘90 che a malapena troverebbero spazio in Paperissima Sprint. Ma negli ultimi giorni su queste televisioni è in heavy rotation un filmato di tutt’altro tenore, un appello promosso dal quotidiano Milano Finanza, e dice questo:

Se l'Italia ha bisogno, noi ci siamo. Siamo imprenditori, professionisti, manager, comuni cittadini. No, non ci stiamo a che l'Italia sia ridotta sul lastrico. Siamo un paese forte, ricco, con un debito pubblico altissimo, ma con un debito consolidato pubblico-privati nettamente più basso della Gran Bretagna, più basso della Germania, pari a quello della Francia. Le nostre industrie, le nostre banche, sono solide. La ricchezza liquida del paese è più di 10 volte (oltre 3.000 miliardi di euro) l'ammontare dei titoli che ogni anno lo Stato italiano deve emette per rinnovare quelli in scadenza. Il 50 per cento del debito pubblico è in mano a noi italiani. Se all'Italia serve, se dovesse servire il nostro aiuto per le emissioni, noi ci siamo.

Ne emerge il quadro di un Paese in splendida salute, che solo per una malaugurata serie di circostanze sfortunate si trova invischiato in una crisetta passegera, niente a che vedere comunque con situazioni disastrose quali quelle britanniche, tedesche o francesi, veri fanalini di coda dell’economia continentale. Eppure qualcuno, i soliti burocrati, la solita Europa soffocante nemica della produttività, sembra non voler tener conto della ricchezza liquida e delle banche solide, mancherebbe solo lo stato gassoso, ma anche su questo c’è una risposta: se dovesse servire aiuto per le emissioni, loro ci sono.
Sì ma chi sono loro? Ci sono Montezemolo, Della Valle, Tronchetti Provera, Scaroni, e molti altri nomi meno conosciuti al grande pubblico ma soprattutto, come rivendicato da un comunicato ad hoc, ci sono Elkann e Marchionne. Sì, lo stesso Marchionne che meno di un anno fa diceva: “Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia”.

E’ un appello che suscita più di una perplessità. Volendo soprassedere sul tono, che fa tornare alla memoria altre chiamate alla solidarieta nazionale, si rimane interdetti scorrendo i nomi dei firmatari della lettera, soggetti che sembrano essersi accorti leggermente in ritardo di una serie di cose che non vanno, e che ne parlano come se fino a ieri fossero vissuti altrove, e se non fossero essi stessi parte della classe dirigente di questo Paese. Sì, l’Italia ha bisogno, ma ha bisogno di voi da un pezzo.

Aveva bisogno della vostra trasparenza e delle vostre tasse quando creavate holding all’estero per controllare attività commerciali italiane. Aveva bisogno del vostro senso di comunità quando avete finanziato la crescita di alcune aziende con gli aiuti di Stato, per poi divedervi gli utili e accollare le perdite alla collettività. Aveva bisogno dei posti di lavoro che avete tagliato in Italia e non perchè le vostre aziende erano in perdita, ma perchè non producevano i profitti che vi eravate preposti. Aveva bisogno di politiche che incoraggiassero il lavoro giovanile mentre approfittavate di una regolamentazione di stage e tirocini che vi ha permesso di avere milioni di ore lavorative a costi irrisori. Aveva bisogno delle vostre risposte e delle vostre proposte quando la politica negava che ci fosse una crisi in arrivo e voi avete applaudito nelle assemblee di Confindustria.


Qui non c’è bisogno di fare cronaca giudiziaria e di cercare processi e condanne, anche solo prendendo in considerazione le condotte che non infrangono alcuna legge, chi propone questo tipo di richiami etici dovrebbe farsi qualche scrupolo. E poi, ci faranno sapere quanto debito compreranno? Veranno pubblicate delle tabelle nelle quali saranno indicati gli importi investiti (perchè si tratterebbe comunque di investimenti, non di donazioni) da ciascun firmatario? Aspettiamo fiduciosi, ma neanche troppo.

Ma forse sono io che mi crogiuolo in un anacronistico pregiudizio, forse le cose stanno cambiando davvero, forse chi si fa estensore di un appello così nobile ha già deciso di perseguire la propria legittima ambizione contando sulle proprie forze, e generare ricchezza senza gravami per le casse dello Stato. Colto da sensi di colpa, ho voluto verificare.

L’appello è promosso da Milano Finanza, quotidiano finanziario che fa riferimento alla Class Editori, casa editrice che pubblica anche un altro quotidiano, anch’esso prevalentemente dedicato all’informazione economica: Italia Oggi, giornale certamente non per un pubblico di massa, ma che ha comunque accesso ad un contributo pubblico per l’editoria pari a 5.263.728,72 di euro annui. Una somma tutt’altro che indifferente, perchè è vero che “Se l’Italia ha bisogno, noi ci siamo”, ma è vero anche l’esatto contrario. E’ interessante anche notare come Italia Oggi percepisca questa somma rientrando nei quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti o da società la cui maggioranza del capitale sociale sia detenuta da cooperative (...)” La cooperativa che fruisce del finanziamento è la “Italia Oggi Ed. Erinne Srl”, e suscita qualche perplessità lo status di cooperativa per un soggetto economico che fa riferimento ad una società quotata in borsa, quella Class editori a proposito della quale è interessante notare la composizione dell’azionariato. Il 48,3 % è infatti detenuto da Euroclass Multimedia Holding SA con sede in Lussemburgo, e dove la sigla SA sta per Sociètè anonyme. Senza avventurarsi in analisi troppo approfondite può bastare sottolineare che queste holding non sono soggette ad alcuna imposta ne’ sul reddito ne’ sul patrimonio e che sia i profitti destinati a riserva che quelli distribuiti sotto forma di dividendi, non vengono tassati. Di nuovo, parliamo di pratiche lecite, regolamentate da trattati internazionali, ma alla luce delle informazioni sul regime fiscale lussemburghese, ognuno può dedurre cosa spinga un imprenditore ad inviare il cuore delle proprie aziende oltreconfine.

Allora amici “imprenditori, professionisti e manager” se le cose stanno così, se avete trovato il modo di infilarvi tra le maglie di una legislazione permissiva, se avete avuto la fortuna di poter usare le casse dello Stato come un bancomat, se avete delocalizzato fino ad avere di italiano solo il profitto, ma anche solo se non avete fatto nulla di tutto ciò e avete taciuto per anni sul modo in cui si reggeva lo status quo che vi ha permesso di proliferare, fateci un favore, continuate a tacere, preferiamo i bambini che cadono e i gattini che sbattono.

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