sabato 5 novembre 2011

[Fuori tema] Le lacrime di Genova

Genova piange, ma le sue lacrime non si vedono, annegano anche loro nel fiume marrone che la sta violentando.
In momenti come questi la rabbia monta potente, e l'indignazione rischia di annebbiare la vista e confondere le argomentazioni. Non bisogna, non si può, non si deve generalizzare. Allora è giusto dire le cose con puntualità e chiarezza.

I morti di Genova non sono vittime del maltempo.
Sono morti di abusi edilizi, sono morti di condoni che li hanno tenuti in piedi, sono morti di una corsa al cemento che non conosce crisi e confini e va a edificare fin dentro gli alvei, sono morti di manovre finanziarie e leggi di stabilità che hanno bloccatto fondi già stanziati per la messa in sicurezza di ponti e argini.


I morti di Genova non sono vittime di una tragica fatalità.
Sono morti di Ponte sullo stretto, sono morti di Tav, sono morti di G8 alla Maddalena, sono morti di priorità scellerate date a opere inutili dimenticando scientemente e sistematicamente tutti gli interventi necessari sul territorio.


I morti di Genova non sono vittime di un'emergenza.
Sono morti di una politica che non sa decidere senza guardare al termometro della popolarità, incapace di assumersi anche solo la responsabilità di chiudere una scuola, che potrebbe costargli contestazioni se poi fosse una misura inutile. Ma sono morti anche di una Protezione Civile lentamente spogliata del suo ruolo per essere trasformata in un coacervo di interessi, affari e appalti scellerati.

In Italia la morte per pioggia è una voce messa a bilancio, considerata accettabile finchè il costo è sostenibile in termini di consenso. Se così non fosse, ci si sarebbe adoperati subito dopo una delle innumerevoli tragedie per cambiare la destinazione di alcuni fondi e indirizzarli su queste opere. Ma le piccole opere hanno due difetti: sono poco spendibili in termini di immagine, e poco redditizie per gli amici degli amici. E' così che si continua a morire di pioggia, e finchè i morti sono pochi, e l'opinione pubblica narcotizzata, chi amministra è ancora in grado di restare al suo posto, di reggere la botta sul momento e di farla dimenticare, fino alla prossima "tragica fatalità".

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