lunedì 29 agosto 2011

L'abbraccio

Un ingorgo incomprensibile, anche per gli standard di Morena. Mi ci sono trovato poco fa, imbottigliato in un 551 a sua volta imbottigliato. Mezzora per fare un chilometro. Ovviamente sull'autobus si accende subito la disputa su cause, responsabilitá, possibili soluzioni, e quando arriviamo all'incrocio principale, tutte le opinioni convergono istantaneamente, unanimemente, sulla soluzione che si palesa attraverso i vetri sporchi: "ahhhh, ce stanno i vigili". Archiviata la causa dell'ingorgo grazie al pregiudizio (quasi sempre giustificato quando si parla si vigili e traffico, non stavolta) si passa al quesito successivo: perché questo dispiegamento di forze in una anonima mattinata di fine agosto? Liberatosi parzialmente dall'ingorgo, il bus inizia a camminare, e ci offre una prospettiva su una via Anagnina teatro di una via crucis di uomini, donne, ragazzi e ragazze vestiti bene. Un fiume di persone i cui argini sono file di macchine parcheggiate senza pudore in doppie e triple file, i vigili vedono tutto ma non hanno blocchetti in mano, non invitano a spostare, non fanno multe, tentano solo di governare l'imbuto che si è creato per l'inevitabile restrizione della carreggiata.
Sul 551 un uomo dalla stazza imponente ma piegata da un caldo che lui sembra accusare più degli altri sta per prorompere in una tirata contro i vigili, anzi contro il corpo di Polizia di Roma Capitale, come recitano le fiancate delle Punto bianche. "Ma te pare possibile che questi stanno qua e..."
Si ferma. Capisce, capiamo tutti contemporaneamente mentre l'autobus passa davanti all'ingresso di una chiesa, il cui viale è gremito di persone delle quali adesso senti le voci, vedi le facce, e quelli che senti sono lamenti, e quelle che vedi sono lacrime. Capiamo che tutte queste persone sono qui per un abbraccio. L'ultimo.
Il silenzio surreale dura una decina di secondi, l'autista lo rompe con una domanda che, anche se siamo lontani dalla palina gialla, in quel momento sembra l'unica possibile: "Qualcuno vuole scendere?"
L'autobus si svuota per due terzi, scendo anche io. A fare cosa non si sa, visto che non potrò fermarmi al funerale, che il lavoro mi attende. Come me molti altri non possono fermarsi per più di qualche minuto, ma sentono il bisogno di esserci, di stringersi attorno a un dolore incomprensibile.
Il tempo che trascorre tra il 551 che mi ha lasciato e quello che mi raccoglierà lo passo ad osservare e a pensare. Non arrivo a nessuna conclusione, e non ho nessuna perla sociologica sul dolore da scrivere. Penso solo che qui, a differenza di altri funerali di ragazzi giovani come Edoardo, non vedo rabbia. Sembra esserci tanta paura, come se su quell'asfalto davanti alla pizzeria fosse rimasto un pezzo delle certezze di un quartiere che si credeva fuori dal raggio di un male così grande.

mercoledì 24 agosto 2011

L'appello

Se negli ultimi tre o quattro anni non avete preso i mezzi pubblici, bè avete fatto bene, e vi odio e vi invidio, ma sappiate che vi siete persi una grande novità: su autobus e metropolitana è sbarcata la televisione. Generalmente la programmazione è riassumibile nella coraggiosa linea editoriale: “Bambini che cadono e gattini che sbattono”, residuati bellici di una ironia commerciale anni ‘90 che a malapena troverebbero spazio in Paperissima Sprint. Ma negli ultimi giorni su queste televisioni è in heavy rotation un filmato di tutt’altro tenore, un appello promosso dal quotidiano Milano Finanza, e dice questo:

Se l'Italia ha bisogno, noi ci siamo. Siamo imprenditori, professionisti, manager, comuni cittadini. No, non ci stiamo a che l'Italia sia ridotta sul lastrico. Siamo un paese forte, ricco, con un debito pubblico altissimo, ma con un debito consolidato pubblico-privati nettamente più basso della Gran Bretagna, più basso della Germania, pari a quello della Francia. Le nostre industrie, le nostre banche, sono solide. La ricchezza liquida del paese è più di 10 volte (oltre 3.000 miliardi di euro) l'ammontare dei titoli che ogni anno lo Stato italiano deve emette per rinnovare quelli in scadenza. Il 50 per cento del debito pubblico è in mano a noi italiani. Se all'Italia serve, se dovesse servire il nostro aiuto per le emissioni, noi ci siamo.

Ne emerge il quadro di un Paese in splendida salute, che solo per una malaugurata serie di circostanze sfortunate si trova invischiato in una crisetta passegera, niente a che vedere comunque con situazioni disastrose quali quelle britanniche, tedesche o francesi, veri fanalini di coda dell’economia continentale. Eppure qualcuno, i soliti burocrati, la solita Europa soffocante nemica della produttività, sembra non voler tener conto della ricchezza liquida e delle banche solide, mancherebbe solo lo stato gassoso, ma anche su questo c’è una risposta: se dovesse servire aiuto per le emissioni, loro ci sono.
Sì ma chi sono loro? Ci sono Montezemolo, Della Valle, Tronchetti Provera, Scaroni, e molti altri nomi meno conosciuti al grande pubblico ma soprattutto, come rivendicato da un comunicato ad hoc, ci sono Elkann e Marchionne. Sì, lo stesso Marchionne che meno di un anno fa diceva: “Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia”.

E’ un appello che suscita più di una perplessità. Volendo soprassedere sul tono, che fa tornare alla memoria altre chiamate alla solidarieta nazionale, si rimane interdetti scorrendo i nomi dei firmatari della lettera, soggetti che sembrano essersi accorti leggermente in ritardo di una serie di cose che non vanno, e che ne parlano come se fino a ieri fossero vissuti altrove, e se non fossero essi stessi parte della classe dirigente di questo Paese. Sì, l’Italia ha bisogno, ma ha bisogno di voi da un pezzo.

Aveva bisogno della vostra trasparenza e delle vostre tasse quando creavate holding all’estero per controllare attività commerciali italiane. Aveva bisogno del vostro senso di comunità quando avete finanziato la crescita di alcune aziende con gli aiuti di Stato, per poi divedervi gli utili e accollare le perdite alla collettività. Aveva bisogno dei posti di lavoro che avete tagliato in Italia e non perchè le vostre aziende erano in perdita, ma perchè non producevano i profitti che vi eravate preposti. Aveva bisogno di politiche che incoraggiassero il lavoro giovanile mentre approfittavate di una regolamentazione di stage e tirocini che vi ha permesso di avere milioni di ore lavorative a costi irrisori. Aveva bisogno delle vostre risposte e delle vostre proposte quando la politica negava che ci fosse una crisi in arrivo e voi avete applaudito nelle assemblee di Confindustria.


Qui non c’è bisogno di fare cronaca giudiziaria e di cercare processi e condanne, anche solo prendendo in considerazione le condotte che non infrangono alcuna legge, chi propone questo tipo di richiami etici dovrebbe farsi qualche scrupolo. E poi, ci faranno sapere quanto debito compreranno? Veranno pubblicate delle tabelle nelle quali saranno indicati gli importi investiti (perchè si tratterebbe comunque di investimenti, non di donazioni) da ciascun firmatario? Aspettiamo fiduciosi, ma neanche troppo.

Ma forse sono io che mi crogiuolo in un anacronistico pregiudizio, forse le cose stanno cambiando davvero, forse chi si fa estensore di un appello così nobile ha già deciso di perseguire la propria legittima ambizione contando sulle proprie forze, e generare ricchezza senza gravami per le casse dello Stato. Colto da sensi di colpa, ho voluto verificare.

L’appello è promosso da Milano Finanza, quotidiano finanziario che fa riferimento alla Class Editori, casa editrice che pubblica anche un altro quotidiano, anch’esso prevalentemente dedicato all’informazione economica: Italia Oggi, giornale certamente non per un pubblico di massa, ma che ha comunque accesso ad un contributo pubblico per l’editoria pari a 5.263.728,72 di euro annui. Una somma tutt’altro che indifferente, perchè è vero che “Se l’Italia ha bisogno, noi ci siamo”, ma è vero anche l’esatto contrario. E’ interessante anche notare come Italia Oggi percepisca questa somma rientrando nei quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti o da società la cui maggioranza del capitale sociale sia detenuta da cooperative (...)” La cooperativa che fruisce del finanziamento è la “Italia Oggi Ed. Erinne Srl”, e suscita qualche perplessità lo status di cooperativa per un soggetto economico che fa riferimento ad una società quotata in borsa, quella Class editori a proposito della quale è interessante notare la composizione dell’azionariato. Il 48,3 % è infatti detenuto da Euroclass Multimedia Holding SA con sede in Lussemburgo, e dove la sigla SA sta per Sociètè anonyme. Senza avventurarsi in analisi troppo approfondite può bastare sottolineare che queste holding non sono soggette ad alcuna imposta ne’ sul reddito ne’ sul patrimonio e che sia i profitti destinati a riserva che quelli distribuiti sotto forma di dividendi, non vengono tassati. Di nuovo, parliamo di pratiche lecite, regolamentate da trattati internazionali, ma alla luce delle informazioni sul regime fiscale lussemburghese, ognuno può dedurre cosa spinga un imprenditore ad inviare il cuore delle proprie aziende oltreconfine.

Allora amici “imprenditori, professionisti e manager” se le cose stanno così, se avete trovato il modo di infilarvi tra le maglie di una legislazione permissiva, se avete avuto la fortuna di poter usare le casse dello Stato come un bancomat, se avete delocalizzato fino ad avere di italiano solo il profitto, ma anche solo se non avete fatto nulla di tutto ciò e avete taciuto per anni sul modo in cui si reggeva lo status quo che vi ha permesso di proliferare, fateci un favore, continuate a tacere, preferiamo i bambini che cadono e i gattini che sbattono.

martedì 16 agosto 2011

La lotteria

È che noi siamo fissati con 'sta storia di voler vedere i posti, fare le foto, acquistare souvenir, portare i pensierini. Perchè se non fosse così, se non fossimo piegati alla dittatura della geografia, io oggi potrei affermare senza tema di smentita di essere stato in Alaska, e di esserci andato con il 64. Ok sarebbe una piccola bugia, non ci sarei andato "col" 64, ma "nel" 64, e non inteso come 19 anni prima della mia nascita, ma proprio come la linea del bus. Perché chiamare questa aria condizionata sarebbe come dire che la Lazio non ha avuto un buon trend negli ultimi derby. Quantomeno riduttivo.

Appena salito mi ero pure sentito furbo, bruciando sullo scatto un goffo tedesco (prima o poi avresti dovuto pagare il prezzo di deambulare con i calzini sotto le infradito, mein freund) mi ero assicurato l'ambito posto lato finestrino, ma presto la verità si è palesata in tutta la sua glaciale chiarezza. Avevo fatto una cazzata. I bocchettoni che dall'alto sparano aria condizionata non avevano in mente di farci arrivare integri (e non liquefatti) fino alla metro, ma sembravano avere un obiettivo più ambizioso. A occhio e croce il 2070. Giá immagino il ritrovamento di questo bus d'epoca con all'interno, perfettamente ibernati, dei veri cittadini del 2011 consegnati all'eternità nell'ultimo disperato tentativo di scaldarsi in un abbraccio generale. Neopompeiani divenuti statue non a causa della lava ma del gelo. "Guarda come si volevano bene" diranno i visitatori.

Non immagineranno, gli amici del futuro, la lotteria alla quale Atac ci fa generosamente partecipare con il solo acquisto del titolo di viaggio, senza esborsi aggiuntivi. Si chiama "muori o crepa", e ogni giorno coinvolge una intera città in un elettrizzante scommessa: l'aria condizionata sarà guasta o assassina? I pendolari vedono arrivare l'auto e iniziano a sgomitare, tutti con un bel sorriso stampato in faccia e sempre con grande eleganza, ed è lì che un allibratore ufficiale, dipendente dell'agenzia per la mobilità, diffonde rapidamente le quote e accetta le scommesse. "5 a 1 per il muori di freddo, la metà per il crepa di caldo", ognuno punta e poi via, tutti in vettura a scoprire chi ha vinto, tra grandi risate e ottimismo diffuso, perchè se non ce l'hai fatta stavolta, ti toccherà la prossima. Certo, c'è qualche minimo effetto collaterale, dal raffreddore alla broncopolmonite, dalla disidratazione alle allucinazioni, sino a rari casi di delirium tremens o logorrea da Facebook, anche se l'incidenza di quest'ultima sembra limitata ai soli rocker di Zocca. Ma possono queste trascurabili patologie incidere sul piacere di trascorrere un'estate in città all'insegna del divertimento e della partecipazione? No, non possono. Allora godiamoci questo esilarante agosto in città, e dimmostriamo gratitudine verso chi fa di tutto per non farci annoiare mai.

mercoledì 3 agosto 2011

Il gioco delle tre carte

“What’s wrong with this country?”
Tom me lo chiede con gli occhi sgranati, con Miss Little America che piange aggrappata ai suoi pantaloni, e una Lonely Planet in mano. Ma soprattutto me lo chiede in una piazza dei Cinquecento illuminata da un sole che crepa l’asfalto e tratteggia sui volti dei passegeri la mimica rilassata di Jack Nicholson in Shining. Li avevamo immaginati, li avevamo temuti, quei giorni sono arrivati: quando l’Agnello sciolse il sigillo le metro si fermarono, e fu l’Apocalisse di Termini. Da tre giorni la tratta Anagnina-Termini è chiusa per lavori, e viene coperta con una linea di bus sostitutivi, la Ma3. Ciò che più colpisce è la carenza di segnalazioni: i romani, forgiati nell'acciaio delle madonne da anni di disservizi, più o meno se la cavano. I turisti, del tutto disorientati, sembrano come pentiti di non aver accettato l'altra proposta mediterranea del tour operator: la Libia.

Tom è americano, è qui in vacanza con la famiglia e non si capacita, così mi chiede cosa deve fare, e quando mi racconta il suo viaggio iniziato dalla Metro B e passato attraverso l'imbuto infernale di Termini, sbotta nella domanda di cui sopra. Io, che ho in mano il giornale aperto sulla pagina in cui si racconta di un Obama messo alle corde da quei progressisti del Tea Party, provo a buttarla vergognosamente in caciara, allungo il Corriere della Sera e controbatto: “What’s wrong with YOUR country!”. Lui la prende bene e mi risponde con il calore umano di una fabbrica abbandonata di Vladivostok: “A lot of Americans doesn’t deserve our president, but a lot of Italians doesn’t deserve Italy’s beauties”. Ne segue una breve e cortese contesa verbale che mi vede ribattere colpo su colpo, e dalla quale esco con una sensazione di affermazione personale assimilabile a quella di Napoleone a Waterloo. Perchè Tom ha ragione: molti di noi non meritano la bellezza di Roma, ma rimango con il dubbio di non essere riuscito a fargli capire che altrettanti tentano di preservarla, e che chi non la merita è innanzitutto chi deve amministrarla.

In questo particolare caso, il numero di bus messo a disposizione della linea sostitutiva, per quanto messo a dura prova in alcuni momenti della giornata, sembra essere adeguato. Da 72 ore si vedono correre liberi branchi di Ma3 su e giù per Appia e Tuscolana, in file da tre o quattro bus. La reazione comune è quella di una certa sorpresa, e una larga parte dell’assemblea cittadina converge spontaneamente sulla mozione Vecchietta Colli Albani: “Ma allora ce l’avete l’auto, m******i vostra”. Ma se si prova a prendere una linea consueta si scopre che la verità è che non ce li hanno, e che li stanno semplicemente spostando. I tempi di attesa per gli autobus sono magicamente aumentati contemporaneamente all’istituzione della linea sostitutiva, e così in alcuni momenti della giornata si vedono passare tre vetture della Ma3 semivuote mentre le banchine sono piene di disperati che aspettano un 558, un 87 o un 63. Evidentemente il concetto di razionalizzazione delle risorse non alberga presso l’Atac, che presto diramerà trionfali comunicati stampa sul numero di vetture utilizzate per la Ma3 grazie ad un innovativo piano per la mobilità. Ma di innovativo non c’è niente, questa cosa si fa da secoli, e si chiama gioco delle tre carte.