giovedì 15 settembre 2011

Us and Them

Ieri, mercoledì 14 settembre, come accade circa una volta a settimana, l’Apocalisse si è manifestata su questa terra. Non ve ne siete accorti, lo so. Perchè in realtà si è manifestata sotto questa terra, e per la precisione su una banchina. Io, personalmene, l’ho incontrata presso la stazione metro di Barberini e, nonostante la pausa estiva, devo dire di averla trovata piuttosto in forma. Apo è fatta così, per un po’ sparisce, ti preoccupi, la chiami e ce l’ha staccato, ma poi torna sempre, con tutto il suo corollario di tragedia e disperazione.

Ieri, mercoledì 14 settembre, alle 18 circa, il tempo si è fermato, e l’uomo ha sconfitto il tabù della violazione dello spazio-tempo senza neanche avere bisogno di una DeLorean. E’ bastato che per un quarto d’ora non passassero convogli, in quei quindici minuti di sospensione della realtà, Apo si è palesata tra di noi, con l’intenzione di trattenersi per un po’, una visita di cortesia, niente di più, quell’oretta necessaria a generare scene più consone al Terzo Reich che alla metro di Roma.

In queste situazioni il mondo all’esterno non esiste più, e si è catapultati all’istante in un nuovo ordine di cose, una comunità nella quale le più basiche regole che sottendono ad una civile convivenza vengono schiacciate senza pietà dalla ferocia e dalla voglia di tornare a casa.
All’improvviso il macrosistema si divide in due: noi e loro. “Noi” sono dentro il vagone, schiacciati come sardine, cruentemente determinati a resistere ad ogni tentativo di ulteriore ingresso. “Loro” sono fuori, ugualmente schiacciati, voracemente affamati di una qualche forma di vuoto nel vagone da andare a colmare tramite adesione totale del proprio corpo con quello di uno sconosciuto. Non di rado si sfocia nella pornografia involontaria.

Ciò che preme sottolineare è l’assoluta volatilità delle composizione delle due tribù. Quando sei un “Loro” e spingi per entrare, i “Noi” si coalizzano con commovente coesione sociale contro di te, ricoprendoti di una vastissima gamma di epiteti che hanno come basa d’asta un cordiale: “A pezzo de merda”. Tu, insensibile ad ogni suono e ai colpi sotto la cintura, acquisito istantaneamente per meriti sul campo il passaporto giapponese, spingi con tutta la forza che hai in corpo e incredibilmente, là dove la materia appariva insondabile, riesci a creare la breccia che ti permette di entrare all’istante nell’insieme “Noi”.

Il cambio di scenario è pressochè istantaneo. Gli uomini e le donne con i quali sino a pochi istanti prima condividevi un’epica battaglia divengono seduta stante dei rozzi individui deformati dalla fatica e dall’odio, orrende creature degne della penna di Tolkien da respingere in ogni modo, fortificando le barriere con borse, ombrelli ed ogni tipo di suppellettile disponibile.

Allo stesso modo, chi ti offendeva ora ti spalleggia, ti esorta alla conservazione di un precario status quo e tu, vile, orrendo giuda e traditore, ti prodighi in un “Ah signò ma non lo vede che non c’è spazio, ma ndo devo andà secondo lei? EH? CHE FACCIO? SPARISCO?” al quale seguono grida di giubilo e onoreficenze varie.

Appena chiuse le porte l'effimera solidarietà evapora in un colpo d'aria condizionata, e inizia la lotta silente per il riposizionamento in vista della prossima battaglia. Chi deve scendere si fa largo tra membra umane indistinguibili tra loro, chi ha appena combattuto tenta di guadagnare le retrovie per conquistare il posto nell'ideale infermeria rappresentata dalla porta situata sul lato opposto del vagone. E qui vogliamo ricordare con un minuto di silenzio i caduti nel baratro dell'ignoranza e dell'inesperienza, che facendosi gloriosamente largo tra esseri umani esausti si sono spinti sino all'ambito porto sicuro, senza sapere che quella era la fermata nella quale cambia il lato di apertura porte.
A voi, ignari eroi di questa lotta quotidiana, tutta la nostra compassione, tutta la nostra solidarietà. Ma solo dopo avervi fregato il posto che occupavate.


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martedì 6 settembre 2011

La fissa

L’uomo col completo sta leggendo “Il Giornale”.
L’uomo in maglietta sta leggendo “La Repubblica”.
Seduti uno davanti all’altro in un vagone vuoto, eccetto chi racconta. Entrambi notano immediatamente la pubbblicazione che l’altro sta sfogliando, e ne traggono le proprie deduzioni.
Di tanto in tanto, uno sguardo si arrampica oltre il bordo della pagina per andare a sbattere contro il nemico, e controlla se l’altro non stia facendo la stessa cosa. Per due o tre volte lo fanno in momenti diversi, e le saette non si scontrano.

Ora, nove volte su dieci queste situazioni si risolvono in un nulla di fatto, e al massimo i due scendono dalla metro dedicandosi reciprocamente un : “Ma come fa a leggere quella merda?”, ma senza dirlo, pensandolo e basta. Stavolta, sarà il momento un tantino delicato a livello politico, sarà che hanno litigato a casa con la moglie, sarà che il cane ha abbaiato tutta la notte, i due non sembrano intenzionati a passarci sopra.


Si respira l’aria che precede il temporale, quella che ti fa correre sul balcone per ritirare i panni e ti fa tirare giù le serrande perchè dopo sei mesi ti sei ricordato di comprare il Vetril e hai pulito le finestre.

Alla fine, smentendo il mio pronostico, rompe gli indugi l’uomo col completo. “Volevo vedè a voi!” In teoria parla con qualche leader della sinistra menzionato sulle pagine del suo giornale, la pratica è talmente ovvia che il vero destinatario non si fa pregare.
“Ma voi chi, a fa’ che?”
“Volevo vedè a voi che facevate, se stavate al governo”
“Se noi stavamo al governo non ce se arrivava a sto punto, perchè quello che state a fa’ in ritardo e male noi lo stavamo a fa’ 5 anni fa e bene”
“Ah e che avreste fatto sentiamo”
“Avremmo fatto pagà le tasse a te all’amici tuoi”
“E che non lo sapevo, c’avete la fissa delle tasse voi! Basta che fate pagà la gente, nsapete fa altro”
“Ma come la fissa! Ma che vuol dire la fissa? Se non le paghi te io ne devo pagà il doppio, la capite sta cosa?”
“Eehh, vabbè....”

Hanno continuato, senza degenerare, a volte anche stemperando con ironia, per una decina di fermate. E mentre io leggevo il mio di giornale, pensavo che tutte quelle soluzioni alla crisi che si rincorrevano sulle pagine e tutti quegli emendamenti alla manovra, non sarebbero serviti a niente, e se sapessi descrivere la faccia e il tono di quel “Eehh, vabbè...” saprei anche spiegare con le parole giuste il perchè, e saprei dare un nome al tumore che ha reso questo Paese un malato terminale.