mercoledì 6 luglio 2011

Lo stadio sul treno

Talvolta il viaggiatore urbano prende coraggio, spicca il volo, e si libra oltre le nuvole del trasporto locale per ascendere ai cieli della ferrovia ad alta velocitá. La comoditá è indubbia: da Roma a Milano in tre ore. Pensate alla magia, nello stesso intervallo di tempo un turista giapponese è stato portato a Ostia Antica da un tassista, e dopo due giri del raccordo ora sta scattando foto a quelle che crede siano le rovine di Pompei. (Nota per eventuali tassisti lettori del blog: si scherza, rispetto molto il vostro lavoro e le vostre premure per il cliente. Ma ora potete togliermi la canna della pistola dalla bocca, grazie.)

Ma, come disse Michael Jackson al bambino che voleva giocare a baseball, non divaghiamo, siamo qui per altro. Parlavamo di tav. Del treno veloce che mi sta portando a Milano, sul quale da circa un quarto d’ora si è accesa una discussione riguardo altri treni veloci, quelli della linea Torino-Lione. La contesa è tra una giovane madre, sulla trentina, e una donna che grossomodo potrebbe essere la madre, ma non lo è. In aggiunta un uomo sulla quarantina funge da spettatore attento al ping pong di opinioni, non stacca mai gli occhi dalla pallina, ma soprattutto dalla neo-mamma. E' evidente come del suo status di giovane madre sia interessato prevalentemente alla possibilità di poterla rendere nuovamente giovane madre.

La donna più anziana è granitica nella sua convinzione che la Tav sia necessaria, che costituisca un'occasione imperdibile di sviluppo e che chi la contesta sia mosso esclusivamente da motivazioni ideologiche. La giovane madre, da par suo, rimprovera alla signora una cieca condotta filogovernativa e l'incapacità di documentarsi presso fonti slegate da interessi di lobby. Presto la discussione degenera, non tanto nei toni che si mantengono entro i confini di un confronto acceso ma leale, ma nei contenuti. Dopo neanche tre minuti non si sta più parlando di binari e montagne da bucare, ma di un frullato di legittimo impedimento, immigrati, toghe rosse, questione morale e contributi pubblici ai quotidiani. Non si sta più parlando di niente, si sta facendo il tifo. La madre potrebbe attaccare parlando dell'amianto nelle montagne, della dubbia utilità della tratta e della sua destinazione d'uso, dell'impatto sull'ecosistema, così come la donna potrebbe rispondere con i contributi dell'Unione Europea da cogliere al volo o con la necessità di adeguare le infrastrutture agli standard europei. Nulla di tutto questo. Al tifo interessa solo gridare più dell’altra curva.

A un certo punto irrompe la figura che ognuno di noi possiede nella cerchia delle proprie conoscenze: quello che non tifa nessuno ma ogni tanto guarda una partita. Gli invidiamo la capacità di godere del bel gioco e di cambiare canale quando le squadre traccheggiano a metà campo, ma lo detestiamo per il suo interesse superficiale: non sarà mai disperato come noi per un rigore sbagliato, ma con lui non festeggeremo mai niente. Pacifico, l’uomo-spettatore esordisce: “A me fa comodo arrivare a Milano in tre ore, e magari sarà anche utile spostare merci più velocemente sulla Torino Lione. Però mi pare che qui si ragiona solo in verticale.”

Le due curve si zittiscono, la voce che è partita dalla tribuna le ha spiazzate, attendono in silenzio di capire per quale squadra si schiererà con il prossimo coro, che arriva puntuale, deludendole entrambe. “Dicono che tra due anni ci vorrà ancora meno e si arriverà a Milano in due ore e venti, bravi, però nessuno dice che ci vogliono tre ore per fare Roma-L’Aquila in treno, che sò cento chilometri. Di quanto ci si mette in orizzontale non ne parla nessuno”.

Alle orecchie delle due curve, è come se l’uomo si fosse appena prodigato in un elogio della Tessera del tifoso, unico argomento in grado di cementare in un’unica famiglia le frange più ostili. Le donne, unite nel disprezzo della posizione inclassificabile, lasciano cadere nel silenzio il goffo tentativo dell’uomo di riportare la discussione sul piano dei contenuti originali, e ripartono con la bolgia da stadio, e continuano a fare il tifo, a parlare d’altro, come succede ormai da vent’anni. Quello di cui non ci siamo accorti è che mentre noi decidevamo in quale curva sederci e quali bandiere comprare, mentre tiravamo su striscioni contro l'altra curva e ci sentivamo la tifoseria migliore, i nostri beniamini avevano cambiato tante maglie e avevano smesso di fare gol da un pezzo. Perchè la partita era finita, e avevamo perso tutti.

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